Pensieri, senza filtro.

Quando le dita improvvisano sulla tastiera

18

Nov 2012

Crisi d’astinenza

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Oggi è una domenica mattina, come tante. Ma è oggi, qui e ora, quelle passate sono andate via ormai.

Le sensazioni che ho in questo momento sono uniche, le sento, vive. Quelle delle domeniche passate le ricordo labilmente, leggere, qualche flash, ma sono andate.

Mentre digito, il socio, seduto alla scrivania accanto alla mia, ascolta Laura Pausini (cioé, lui ascolta Laura Pausini??!!), ritmando con le dita e ondulando la gambetta…è proprio vero che le persone non smettono mai di sorprenderti.

Ho una massa di tinta in testa e attendo in posa il momento del risciaquo. Devo lavorare anche oggi, ho da sistemare un progetto in consegna ma, sinceramente sincera, non è ne ho proprio voglia.

Queste settimane, meravigliosamente intense, contrastano con un vuoto che non riesco a spiegare. Un vuoto che offusca la mente, che mette in dubbio le mie capacità, che sfida a singolar tenzone la fiducia nelle mie capacità e nella mia femminilità.

Sono davvero una persona labile. Se ne ho troppe, non va bene. Se ne ho poche, mi viene l’ansia.

Il problema si ripresenta sempre, costante. Come un alcolista che lotta con la tentazione di scolarsi la bottiglia di vino sul mobile della credenza, il mio pessimismo ogni tanto fa capolino per rigettarmi nelle turbe più mistiche.
Oggi mi sento in crisi d’astinenza da qualcosa che non voglio faccia più parte della mia vita.

Il cammino da novella ottimista è sempre minato da mille insicurezze. Riuscire a mantenere costante il livello di positività, di autostima e di sorriso è davvero difficile.

Oggi è una domenica di quelle che ti guardi allo specchio e ti vedi un mostro: grassa, brufolosa, sciatta, inconcludente. Lo specchio proietta l’immagine della tua anima, non quella del tuo corpo.

Quando hai dentro di te il sorriso, il calore e la carica giusta, lo specchio riflette un altro te, quello che ti fa dire “oggi mi sento bene“.

Riflessioni intorno a un riflesso che oggi non riscalda come un raggio di sole. Un riflesso lunare e freddo che non vorrei vedere. Ma non riesco proprio ad allontanarlo.

Un senso di solitudine. Una solitudine che non dipende dalle persone che mi stanno intorno. Mi sento abbandonata da me, dal mio spirito giocoso e goliardico, dalla mia energia che sa fottersene dei problemi e li affronta con spavalda forza.

Qualcosa di più grande di me mi tiene in pugno, o forse è solo una convinzione, una illusione mentale, come quella della foto che ho scelto per accompagnare questo post…

…il tempo di posa è scaduto, devo lavare via la tinta e spero, con lei, di allontanare un po’ di malinconica tristezza.

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11

Nov 2012

Ordine e disordine

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Sono seduta a fianco del socio che guida, l’abitacolo caldo ci avvolge e schiva gli schiaffi aggressivi della pioggia battente. La strada fa schifo, è stracolma di buchi, non drena, un po’ come le cosce di una signora che soffre di cellulite.
Forse dovremmo iniziare a stendere un po’ di Somatoline per ovviare al problema? O forse, magari dico, potrebbero iniziare a preoccuparsi di lavorare come si conviene per mantenere queste strade? Rivoglio i Romani, loro sì che sapevano come costruirle e farle durare nel tempo!
Stiamo andando a Milano, domani abbiamo un incontro di lavoro. L’influenza mi regala un’esperienza ovattata:orecchie e naso completamente tappati, la gola in fiamme e quella sensazione di lieve intontimento che ti fa venire voglia di piumone, bevanda calda, libro o classico della cinematografia mondiale.

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02

Nov 2012

Preferisco Socrate

scritto da / in SENZA FILTRO / Commenta

Partiamo da un presupposto. Sarà che sono in fase pre-mestruale, che l’ormone è inacidito dal freddo, ma oggi sono particolarmente polemica. Con tutti e con me stessa. Avevo iniziato a scrivere un articolo per il nostro sito aziendale e ho lasciato perdere. Non mi convinceva, troppo fumoso, poco chiaro. Mi sono fatta schifo da sola.

Mi metto a navigare sul web, consulto i social network, faccio una studiatina e una pettegolata curiosa tra le pagine di blog gossipari, e niente, non passa. Quel diavoletto polemico continua ad aizzarmi. Mi induce, mefistofelico, a mettere nero su bianco quello che mi passa per la testa. Io resisto.

Abbandono il computer, mi metto a stirare e mi dico che sarà il caso di dedicarsi alla lettura di uno dei due nuovi libri che ho sul comodino…

…la vocina continua a tentarmi e alla fine che faccio? Beh, chiaro cosa faccio…sono qui che scrivo.

Una delle cose che, in questo periodo, sto cercando di combattere è la mancanza di qualità che respiro intorno in me. Tanti general CEO head della fava, insomma tanti professionisti, o sedicenti esperti che mascherano dietro all’altisonante anglicismo della qualifica una professionalità che, ahimé, il più delle volte è solo fuffa, e di pessima fattezza. Leggo i loro blog, nati per dare valore ed evidenza al loro sommo sapere e non trovo altro che una visione distorta, o forse meglio, poco reale e tangibile del mercato o della realtà di cui trattano. Tutti teorici della fuffa. Tutti professori di ‘sto… Mi arrabbio, è più forte di me. Non sopporto la mancanza di qualità, quel baratro di competenze, la mancanza di carisma e di valore.

Certe persone sembra che non abbiano fatto altro nella loro vita che sedersi in cattedra e dare lezioni…sì, senza mai sporcarsi le mani con la realtà, quella vera, fatta di persone e di oggetti che puoi ascoltare, toccare, odorare, vedere.

Poca umiltà, poco ascolto e un intuito mascherato dietro al copia e incolla di teorie che non sono farina del loro sacco, ma rielaborazioni di sudate carte di qualcuno che magari ci ha messo una vita ad arrivarci.

Non sopporto chi parla o scrive in burocratese o in markettingaro da strapazzo con l’illusione che gli altri rimangano abbagliati dalla favella ricamata e diano poco peso alla sostanza. Discorsi spesso riassumibili in un nulla, inequivoco e palese, disarmante e preoccupante.

Abbiamo davvero bisogno di indossare la maschera della distanza per salire sul podio degli eletti ad autorità?
Dobbiamo necessariamente far vedere che l’inglese lo sappiamo e che spesso, invece, scivoliamo sui congiuntivi della nostra lingua materna?

Va da sé che certe professioni richiedano un vocabolario carico di tecnicismi di matrice straniera, ma questa esterofilia ci aiuta davvero a farci notare di più a livello professionale? Conferisce più valore a quello che facciamo? Io non credo.

Purtroppo, con il lavoro che faccio mi trovo a dover utilizzare vocaboli made in UK (tanto per dirla in modo figo, sì figo, no cool, perché da noi il cul è un’altra cosa!). Dicevo, spesso nelle mie conversazioni è inevitabile intercalare delle parole di matrice anglosassone, ma appena posso, specie se mi trovo con dei clienti, cerco di spiegare ‘all’italica maniera’ che cosa sto dicendo. Credo che la comunicazione sia fatta, soprattutto e anche di questo: comprensione. Uno scambio di informazioni chiare e lineari che permettono alle persone di dialogare tra loro. Per me il comunicare che si riduce al monologo autoreferenziale racchiude, in fondo, una volontà di prevaricazione –  verbale o scritta che sia – sull’altro che preclude a quella naturale interazione che ne dovrebbe scaturire.

Nascono come funghi espertissimi professionisti nostrani (con titoli e qualifiche che secondo me in America non hanno ancora inventato) che fanno del personal branding una ragione di vita. Già adesso esiste il personal branding, che detto in soldoni sarebbe il vendersi/promuovere se stessi o le proprie attività, raccontando e sfoderando, specie nel canale web, le proprie competenze. E ci sta tutto, non critico l’intenzione ma il modo. Un modo che molte volte ricalca quello di altri, costipato di ovvietà e marchiato a fuoco con la lingua inglese.

Preferisco una dichiarazione socratica, un ‘so di non sapere’ sincero che una traduzione arraffazonata di qualche blog esterofilo che magari, in fondo in fondo, nemmeno l’autore – quello che realizza il falso intendo- ha ben capito cosa sia.

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