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Gen 2014Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi
scritto da jadosa / in Anima, SENZA FILTRO / Commenta
Avere coraggio. Avere cuore.
L’etimologia la dice lunga perché ‘coraggio‘ dal latino coraticum o anche cor habeo – aggettivo derivante dalla parola composta cor, cordis ‘cuore’ e dal verbo habere ‘avere’ – significa senza troppi fronzoli ‘avere cuore’.
Il coraggio è quello che quando ce l’hai la paura non esiste, è quella leva che ti spinge al cambiamento, a uscire dalla zona di confort, ad affrontare nuove sfide, a vincere il demone dell’ansia, a credere a prescindere…
Nella vita ci vuole coraggio. Coraggio per sbottonare il raziocinio, per allentare le corde della morale, per affrontare con ottimismo anche il più tremendo dei mali.
Ci vuole coraggio, per amare. Ci vuole coraggio per far sì che l’anima si nutra di vita, per avventurarsi nella selva della routine, quella più deleteria che ammazza e destabilizza.
Ci vuole coraggio per crescere.
Ci vuole cuore, amore, pancia, ci vuole un pizzico di creatività.
Sì, ci vuole coraggio per abbandonare la vecchia via e iniziarne una nuova.
Mi interrogavo proprio in questi giorni sulla mia sempre più pressante necessità di cambiare aria. Ho necessità di uscire da certi schemi mentali, da certe regole…è come se fossi chiusa in una scatola molto piccola, nella quale non riesco a stare nemmeno raggomitolata in posizione fetale.
Ma poi il pensiero si blocca, l’insicurezza alimenta i dubbi, la paura avvolge con un manello blu notte quello spiraglio che lasciava intravedere la luce in fondo al tunnel.
Leggo di persone che erano infelici qui in Italia, persone – sia chiaro – che non avrebbero mai fatto un umile lavoro perché “io sono laureato!“…E adesso? Beh adesso le senti felici pulitrici di cessi nel Nuovo Mondo.
Altre, invece, dopo gli entusiasmi iniziali da ‘fuga di cervello all’estero’, annaspano alla ricerca di quelle radici che odorano di spaghetti, di tradizione, di mammà.
Qualcuno, tuttavia, ha trovato finalmente se stesso e la serenità.
Già perché ci vuole coraggio per trovare se stessi.
Ci vuole coraggio per scavare nella profondità buia e piena di interrogativi di una fragilissimo io.
Ma davvero il mio cuore-coraggio mi spinge a uscire dai confini, emotivi e geografici?
O forse ancora, come scriveva Seneca nella 28 Epistola a Lucillio:“Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi”?!
E se la chiave fosse prendere consapevolezza che il Coraggio, quello con la ‘C’ maiuscola, è scoprire che sì potresti perdere ma comunque devi tentarci lo stesso?
Nel dubbio amletico, mi rileggo la traduzione della Epistola XXVIII di Seneca:
Tu credi che sia capitato solo a te, e ti meravigli come di un fatto strano di non essere riuscito a liberarti della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varieta` dei luoghi visitati… Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi. Anche se attraversi il vasto oceano; anche se, come dice il nostro Virgilio, “ti lasci dietro terre e città”, dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi. Disse Socrate ad uno che si lamentava per lo stesso motivo: “Perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; t’incalza cioè sempre lo stesso male che t’ha spinto fuori”. Che giovamento può darti la varietà dei paesaggi o la conoscenza di città e luoghi nuovi? Tale sballottamento non serve a nulla. Chiedi perché tu non trovi sollievo nella fuga? Perché tu fuggi sempre in compagnia di te stesso. Nessun luogo ti piacerà finché non avrai abbandonato il peso che hai nell’animo. Pensa che il tuo stato corrisponde a quello che il nostro Virgilio attribuisce alla profetessa invasata dal nume, traboccante di un’ispirazione che non procede da lei: “La profetessa si dibatte furiosa, nello sforzo di scuotere da sé l’azione del dio”. Tu corri qua e là per cacciare via il peso che ti opprime e che diventa più gravoso col tuo stesso agitarti. Similmente sulla nave il carico esercita minore pressione se è ben fissato, mentre, se si sposta disordinatamente, fa sommergere il fianco su cui viene a gravare. Qualunque cosa tu faccia, la fai a tuo danno; e con lo stesso movimento ti danneggi, perché scuoti un ammalato. Ma quando tu riuscissi ad estirpare codesto male, ogni cambiamento di luogo ti sarà piacevole. Potrai anche essere cacciato nelle terre più lontane e più barbare; ogni luogo, qualunque esso sia, sarà per te ospitale. L’importante è sapere con quale spirito arrivi, non dove arrivi; perciò non dobbiamo leggare l’animo a nessun luogo. Bisogna vivere con questa persuasione: “Non sono nato per attaccarmi a un posto. La mia patria è l’universo intero”. Se la cosa fosse chiara alla tua mente, non ti meraviglieresti che non ci dia giovamento la varietà delle regioni in cui ti sposti, sempre annoiato delle precedenti. Ti sarebbe piaciuta la prima in cui fossi capitato, se ogni regione la considerassi tua. Ora tu non viaggi, ma vai errando e sei spinto a passare da un luogo a un altro, mentre quello che cerchi, la felicità, si trova in ogni luogo. Qual luogo può esser piu` turbolento del foro? Eppure anche li si può trovare il modo di vivere tranquilli. Ma se mi fosse consentito di disporre di me liberamente, fuggirei lontano anche dalla vista e dalle vicinanze del foro. Come i luoghi malsani minacciano anche la salute più solida, cosi anche per un animo buono, ma non ancora maturo e saldo, alcuni posti sono poco salubri. Non approvo coloro che si gettano in mezzo ai flutti e preferiscono una vita tumultuosa, perciò lottano coraggiosamente con le difficoltà di ogni giorno. Il saggio le sapra` tollerare, ma non le cercherà, e vorrà vivere in pace piuttosto che nei contrasti. Non giova molto essersi liberato dai propri vizi, se bisogna poi combattere con quelli degli altri. Tu dirai: “Trenta tiranni vissero intorno a Socrate, ma non riuscirono a fiaccarne l’animo”. Che conta quanti siano i tiranni? La schiavitù è una e chi l’ha disprezzata è libero, qualunque sia il numero dei padroni. Devo ormai concludere, ma non senza aver pagato la mia tassa. “La conoscenza dei propri difetti è l’inizio della guarigione”. Mi sembra che questo motto di Epicuro sia molto giusto. Chi non sa di peccare non può correggersi. Prima di emendarsi, occorre essersi accorti del fallo. Alcuni si gloriano dei vizi; ma, se li annoverano fra le virtù, come possono pensare alla guarigione? Perciò, per quanto puoi, accusati da te, esamina le tue colpe. Prima esercita la funzione di accusatore, poi quella di giudice; e in ultimo quella di avvocato difensore. All’occorrenza, sappi anche infliggerti una condanna. Addio”.