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Dic 2013Euforica malinconia
scritto da jadosa / in SENZA FILTRO / Commenta
Torno a casa con il cuore gonfio d’amore e una serenità vera, di pancia. Una settimana di pura semplicità, calda di bene e attenzioni, quelli che solo chi ti ama veramente riesce a darti. Un’infusione durata una settimana, una risata grassa e fragorosa, come quella a tavola, la sera della vigilia.
Non siamo dei grandi tradizionalisti, noi. Siamo persone che credono che la cosa importante, alla fine, sia il solo stare insieme.
Ho riscoperto il confortante abbraccio di mia madre, il sorriso contagioso di mio padre, la dolcezza zuccherina di mia sorella, la vitalità di Willy, la morbidezza di Tommy, lo sguardo perdutamente curioso di mia nonna.
Ho riscoperto il Natale in famiglia.
Ho riscoperto la bizzarra abitudine di vagare per cimiteri che condivido con mio padre, ho camminato libera sulla sabbia annusando ogni essenza di macchia mediterranea e inspirando lo iodio del meraviglioso mare sardo. Ho fatto il pieno di leggerezza, lontana dai problemi, dai social network, dalla necessità morbosa di riempire le ore per forza con qualche cosa da fare.
Mi sono fatta avvolgere dalla bellezza della natura: lì, seduta su una panchina, con lo sguardo perso oltre l’orizzonte. Ho visto tre film, fatto fumenti camomilla e bicarbonato, mangiato panettone, imparato a usare il piano cottura a induzione, riso a crepapelle quando, proprio mentre mi facevo lo shampoo sotto la doccia, è andata via l’acqua calda.
Ho dato valore a ogni singolo minuto. Non mi sono preoccupata del poi, del domani, del perché. Ho vissuto.
Ho percepito con consapevolezza l’allungamento e l’allineamento della colonna vertebrale, ho sentito i piedi stabili a terra, il mio primo chakra rosso – natalizio più che mai- radicare il mio qui ed ora, stabilmente dando luce al mio sé.
Provo una strana sensazione, sento un’euforica malinconia.
Mi dispiace essermene andata ma allo stesso tempo sono consapevole che questa pausa era necessaria per ripartire alla grande con le attività, con la mia quotidianità, insieme alla mia famiglia “irregolare”, quella che vede protagonisti io me medesima stessa, il socio, il piccolo Buck, Orazio e Clarabella, le nostre ninja turtle.
(Non c’entra niente, ma se quella che è seduta nel sedile davanti al mio non la pianta di ripetere al telefono la nenia fastidiosa: “amoreeee, amooore, amò, tesoro”, credo di poter scatenare il rozzo troglodita con le mani sporche di unto che è in me)
E insomma, ritornando a noi…sono contenta di aver sentito ancora profumo di casa, di genuinità, uno chiffon leggiadro e svolazzante nel sole, caldo e giallo.
(La tipa al telefono continua – riporto fedelmente la conversazione che , giuro, provo con tutte le forze a ignorare: “che bello oggi, amò, le statue alle fontane di Trevi, con i cavalli… Una volta facevano le cose, ma adesso ce sta la tecnologia, amò, però a Todi ce sono i monumenti più belli del mondo…ehhhh, amò, comunque, domani lavoro amò, ma dobbiamo fare un capodanno insieme, amò. C’ho i piedi stretti. Amoooore, ‘more, ‘more, ‘more, cucciolotto! Oh, hanno spento le luci…ce stanno solo le piccole pe’ chi vole legge'” – ecco il buio, il momento migliore per far agire nell’oscurità il mio alterego troglodita…)
Va bene, dai, con questa rottura di scatole non si riesce a scrivere…urla troppo.
Mi tocca interrompere il mio racconto ma voglio farlo con la canzone che cantavamo ieri, io e i miei, in auto di ritorno, paradosso vuole, da un funerale.