Nel baule dei ricordi

Vintage, Storia, Tradizioni. Per ricordare

22

Mar 2021

Il Salpêtrière ai tempi di Charcot

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Leggo a ritmi piuttosto sostenuti, specialmente in questa fase pandemica, fatta di zone rosse, mal di schiena e una crescente volontà di viaggiare… almeno con l’immaginazione. Alterno (ri)letture – alcune anche in lingua  originale – di classiconi (Eschilo, Euripide, Kafka, Shakespeare, Thackeray, Dumas, Dostoevskij, etc. Insomma, artiglieria presente di questo genere), saggi di sociologia, di psicologia, di filosofia e opere di letteratura contemporanea.

Ho già letto 15 libri da gennaio a oggi e l’ultimo, che ho iniziato ieri, l’ho appena finito. 😛

Sto parlando de “Il ballo delle pazze” di Veronica Mas, caso letterario in Francia nel 2019.

Non mi metto a raccontarne la trama, né a spoilerarlo. Leggetevelo, ne vale la pena: 180 pagine che scorrono bene come un prosecco frizzante d’estate.

É uno di quei libri che amalgama fatti storicamente avvenuti con elementi di fantasia, un affresco femminile in una Parigi di fine Ottocento che, quando hai finito di leggere, ti spinge a documentarti, spulciare fonti e approfondire.

Le protagoniste, se osserviamo con attenzione,  sono ognuna frammento, racconto e dettaglio della vicenda di Louise Augustine Gleizes, la donna che durante le leçons du mardi all’ospedale Salpêtrière di Parigi, il neurologo Jean-Martin Charcot sottoponeva a ipnosi davanti a un pubblico di quelli che diventeranno – grazie anche al loro mentore –  grandi luminari della neurologia e della psichiatria, come Freud o Tourette, quello della sindrome che tra le vari tic include quello vocale del oscenità,  echeca@@o!  🙂
Tourette è quello qui sotto, in primo piano, con il grembiule bianco.

Salpêtrière charcot

Pierre Aristide André Brouillet(1887)

Lo scopo di questi spettacoli era rappresentare l’isteria attraverso le espressioni e le pose che le donne assumevano, guidate dalle sperimentazioni del professore.

Mi sono andata a vedere la storia del Salpêtrière e ha davvero dell’incredibile. In origine l’ospedale era una fabbrica di polvere da sparo (salpêtre in italiano è il salnitro, uno dei componenti della polvere nera).
Nel 1656 diventa, per volontà di Luigi XVI, Maison de force de la Salpêtrière, luogo nel quale detenere mendicanti, vagabondi, truffatori e ripulire le strade della città. La cosa strabiliante è che in breve tempo  arriverà a ospitare 40.000 persone, circa il 10% della popolazione di Parigi dell’epoca, pari a 400.000 abitanti.

Nel 1680 un editto reale amplia la struttura per accogliere le meretrici, ospitate in una sezione detta le commun . Si stima che nel 1788 le donne fossero 8.000 tra alienate (così venivano chiamate le “pazze”) e donne dei più bassi  eti sociali, costrette a vivere in condizioni igienico sanitarie disumane. Dormivano anche in 5 in un letto, spesso erano appestate e venivano  incatenate in locali umidi e freddi, senza luce, con i topi che rosicchiavano loro i piedi.
Il duca Francesco Alessandro Federico De La Richefoucauld-Liancourt affemò che “sarebbe assai meno crudele lasciar perir la specie umana che farla vivere in simili condizioni”.
Lo scrittore e giornalista Jules Clarétie definì Salpêtrière:“una città dolorosa [dove le mura] sembrano aver conservato, nella loro vetusta solennità, il carattere maestoso di un quartiere al tempo di Luigi XIV, dimenticato nella Parigi dei tramways elettrici. Sembra la Versailles del dolore”.

Tra il 3 e il 4 settembre 1792 l’ospedale fu preso d’assalto con lo scopo di liberare i detenuti: 134 prostitute vennero rilasciate, altre invece vennero trascinate, mutilate e uccise per le strade. Fu quello che passò alla storia come il “Massacro di Settembre”.

Le traitement moral

Philippe Pinel abolì le catene e  iniziò a curare – e non solo contenere –  i pazienti psichici con l’obiettivo di guarirli. Pinel fu uno dei primi a parlare di “colloqui” con i malati, di terapia occupazionale e morale. Tuttavia,  sia lui che i suoi colleghi, continuavano a impiegare mezzi discutibili per  far provare lo “shock” al paziente come come docce ghiacciate, diete sbilanciate, isolamento, contezione fisica, purghe, salassi, uso di etanolo, oppio, etc.   

Charcot

Nel 1862 arriva a Salpêtrière Charcot, prima come studente e poi, nel 1873 come docente. Celebri i suoi studi e le sue ricerche su isteria – anche attraverso l’iposi –  che richiamavano studenti da tutta Europa. Charcot , in questi anni, costituì anche un laboratorio di ricerca dove Duchenne, suo maître, condusse un lavoro sperimentale sulla stimolazione elettrica dei muscoli mimici. E proprio al Salpêtrière nacque la neurologia e fu istituita la  prima cattedra di malattie nervose al mondo – “la cattedra Charcot” che ancora oggi vanta notevole prestigio.

La fotografia

Charcot osservava, disegnava e faceva fotografare le reazioni delle sue pazienti per avere un’immagine e creare un vero e proprio immaginario sulla isteria.

Augustine

Il laboratorio fotografico al Salpêtrière  fu istituito ufficialmente nel 1878. La responsabilità della attività fotografica inizialmente fu affidata a Désiré-Magloire Bourneville e Paul Regnard, assistenti di Charcot e fondatori della rivista fotografica medica  “L’Iconographie photographique de La Salpêtrière” che raccoglieva la descrizione di casi clinici con immagini didascaliche a corredo.

Nel 1884 l’incarico fu dato ad Albert Londe, un chimico già operativo nel nosocomio che per 20 anni fotografò malati,   preparati anatomici e anatomopatologici del reparto di malattie del sistema nervoso.
Il contributo originale di Londe fu quello di progettare un apparecchio portatile, dotato di un otturatore elettromagnetico che consentiva l’esecuzione di fotografie in rapida successione.

Dal 1969 l’adiacente Ospedale le la Pitié venne unificato alla Salpêtrière con la formazione del gruppo Ospedaliero de la Pitié-Salpêtrière.

La storia degli ospedali psichiatrici e dei suoi pazienti mi ha sempre incuriosito, lo confesso.
Mi affascina la mente umana, tra limiti e potenzialità, e mi impressiona pensare a quanta gente sia stata internata senza ragione e senza comprensione.
Come si può stabile, in modo oggettivo e definitivo, il limite tra follia e normalità?
Chi non è mai stato un po’ fuori di testa?
E, soprattutto, come facevano mantenere la lucidità in quei  luoghi di claustrofobia esistenziale?
Certe condizioni avrebbero condotto a isteria, nevrosi o depressione la più “sana” delle menti, non pensate?

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Grazie :)
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