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Lug 2013Bulimia esistenziale
scritto da jadosa / in SENZA FILTRO / Commenta
Pratico yoga da diversi anni, credo siano 8/9 ormai, e ogni volta le sensazioni sono davvero diverse. Oggi è una di quelle in cui l’espirazione viene sconfitta dall’inspirazione, una di quelle che invece di energizzarmi, caricarmi e svuotare la testa dai pensieri, li enfatizza, li porta alla ribalta, li mette sul piatto, li sventola come una bandiera, li urla in una valle che emette un’eco (con e senza apostrofo) che arriva giù, fino alla profondità del subconscio.
Non sono convinta che questa sensazione sia negativa, credo invece che sia un modo per imparare a guardare con coraggio l’immagine dell’io che si riflette nello specchio della quotidianità.
Ho una grande confusione in testa, la razionalità fa a pugni con il mio istinto, lo violenta, lo costringe all’interno di un recinto dove tutto segue leggi fisiche di causa-effetto, dove tutto deve ragionevolmente essere pianificato, studiato, ponderato.
La cosa assurda è che, a seconda del momento, percepisco l’errore del ragionamento e quello dell’impulso. Mi perdo.
Credo che lasciarmi andare alla pancia possa essere controproducente e, allo stesso tempo, anzi in contro tempo, mi accorgo che c’è una melodia stonata dentro di me quando suona solo la componente sapientemente architettata dalla logica.
Sono perennemente a un bivio emozionale, incompleta, indecisa, dubbiosa, con il timore di sbagliare e la consapevolezza, tuttavia, che la vita è un respiro talmente breve che non vale la pena trattenere, inspirando, ingoiando attimi e decisioni.
So che rimandare potrebbe significare ‘mai’, so però che eccedere nell’impulso potrebbe essere guidato da una mancanza di pazienza o dalla stessa irrequietudine.
Cosa voglio veramente? Tutto e niente. Semplicità e complessità. Tranquillità e frenesia. Sicurezza e sorpresa.
Voglio il contrario e il diritto e più di ogni altra cosa, vorrei poter finalmente sentirmi in pace con me, serena, sorridente, appagata e satolla.
E invece no. La fame, in senso lato e non, mi attanaglia, mi divora e mi fa divorare. Una lotta antropofaga con la mia essenza che ha bisogno di colmare un vuoto auto prodotto che tende a enfatizzarsi quando meno me lo aspetto.
Se il raziocinio mi dice che queste parole sono errate, che dovrei sorridere, che la via della felicità è la felicità stessa, qualcosa di più profondo mi spinge ancora e ancora a volere altro, di più. Un pozzo senza fine, profondo e buio.
L’enigma che si cela nel senso della vita, i puntini da unire all’infinito.
Se cerco di analizzare e guardare dall’esterno, con un cipiglio freddo e distaccato, mi dico che questi sono ragionamenti di una persona ingrata, insoddisfatta, poco lucida.
Ho un socio che mi vuole bene, un lavoro – anzi più di uno- che mi piace e faccio volentieri, sono belloccia (almeno così dicono) e anche abbastanza sveglia da riuscire a svoltare imprevisti e problemi, da quelli più piccoli a quelli che sembrano grattacieli.
Eppure…eppure sento ancora che questo non è abbastanza.
Vorrei costruire una famiglia, vorrei tanto, ma proprio tanto avere un bambino, vorrei riuscire a sentire quel calore familiare da mulino bianco che so riusciremmo a creare, perché io e il socio siamo una squadra ‘fortissimi’.
Però vorrei anche viaggiare di più con lui (prima di avere un figlio), all’avventura. Ci siamo tuffati a capofitto nelle responsabilità a 25 anni io e 27 lui, e nonostante tutto non abbiamo ancora avuto modo di trovare la sicurezza e la serenità di vivere senza pensare al lavoro e ai problemi. Già perché vorrei diventare qualcuno nel mio lavoro (sono una fottuta ambiziosa del cazzo), vorrei stabilizzarmi per poter vivere da nomade, libera e indipendente. Vorrei essere stanzialmente nomade, un gran casino. Una mente che vaga, esplora, senza fissa dimora nei meandri del preconcetto e del prestabilito, ma ferma, equilibrata, grata, sicura di sé, senza continuamente annaspare nel lago arido di una mancanza di amore che suona come un capriccio di chi pesta i piedi per richiamare un po’ di attenzione.
La sensazione che ho è quella di sapere correttamente quale sia la strada da percorrere ma, per qualche strana ragione, mi rendo conto che non è il momento (o forse sono altri che me lo fanno capire?)
Mi manca la pazienza, la capacità di assaporare i secondi (beh, non in ambito culinario), soffro di una bulimia nervosa nei confronti della vita: la divoro e poi la vomito.
Faccio il pieno di esperienze, di lavoro, di responsabilità, di divertimento ma mai gustando ogni singolo boccone. Non mastico la vita, la inghiotto. Mi gonfia lo stomaco, sto male, e ho necessità di rigettare ogni istante nel cesso. Il risultato è che poi ho nuovamente necessità di riempire quel vuoto e il ciclo continua, all’infinito.
La cosa più assurda è che i miei neuroni lo sanno, io lo so come dovrei comportarmi…ma poi, inevitabilmente, ricado nella trappola. Questione di karma? Si dice che quando tendiamo a rivivere sempre le stesse esperienze sbagliate è perché non abbiamo ancora imparato da loro.
Credo che il mio percorso sia ancora molto lungo, ma la volontà di continuare a investigare e investigarmi non manca.